sabato 29 novembre 2008

Antonio de Curtis, Principe Imperiale di Bisanzio".


Totò nome d'arte di Antonio Focas Flavio Angelo Ducas Comneno De Curtis Di Bisanzio Gagliardi, più noto come Antonio De Curtis (Napoli15.2.1898-Roma15.04.1967) è stato un attore, compositore e poeta italiano. E’ considerato uno dei più grandi interpreti nella storia del teatro e del cinema italiano.
Nato, nel rione Sanità, in via Santa Maria Antesaecula, al 2° piano del civico 109, come Antonio Vincenzo Stefano Clemente ed adottato nel 1933 dal marchese Francesco Maria Gagliardi Focas (il padre naturale, il marchese Giuseppe De Curtis, lo riconobbe legalmente soltanto nel 1937) nel 1945 il tribunale di Napoli gli permise di aggiungere vari cognomi e predicati nobiliari, riconoscendogli «il diritto di potersi attribuire il nome della casata ed i titoli». Sicché Totò divenne Antonio Focas Flavio Angelo Ducas Comneno De Curtis Di Bisanzio Gagliardi, altezza imperiale, conte palatino, cavaliere del Sacro Romano Impero, esarca di Ravenna, duca di Macedonia e Illiria, principe di Costantinopoli, di Cilicia, di Tessaglia, di Ponto, di Moldavia, di Dardania, del Peloponneso, conte di Cipro e d'Epiro, conte e duca di Drivasto e di Durazzo.
Totò spaziò in tutti i generi teatrali, con oltre 50 titoli, dal variété all'avanspettacolo di tipo burlesque, alla "grande rivista" di Michele Galdieri, passando per il cinema, con 97 film interpretati dal 1937 al 1967, visti da oltre 270 milioni di spettatori, un record nella storia del cinema italiano, e la televisione con una serie di 9 telefilm diretti da Daniele D'Anza.
Grande maschera nel solco della tradizione della Commedia dell'Arte, accostato di volta in volta a comici come Buster Keaton o Charlie Chaplin, conservò fino alla fine una sua unicità interpretativa che risaltava sia in copioni puramente brillanti (diretto, tra gli altri, da Mario Mattoli, Camillo Mastrocinque o Sergio Corbucci), sia in parti drammatiche, interpretate alla fine della carriera, con maestri del calibro di Alberto Lattuada o Pier Paolo Pasolini. A distanza di decenni i suoi film riscuotono ancora grande successo, e molte delle sue memorabili battute e gag-tormentoni sono spesso diventate anche perifrasi entrate nel linguaggio comune.
Venne notato da Giuseppe Jovinelli, titolare del teatro omonimo, dove iniziò ad esibirsi in imitazioni e balletti musicali comici che ottennero un grande successo di pubblico. Approdò quindi alla Sala Umberto, frequentata dalla migliore società della capitale: il successo crebbe ancora. Il suo costume di scena in questo periodo era già quello a cui restò fedele sino alla fine: un logoro cappello a bombetta, un tight troppo largo, una camicia col colletto basso, una stringa come "farfallino", pantaloni "a zompafosso" e un paio di calze colorate su scarpe basse e logore.
Nel tempo libero Totò componeva canzoni (la più celebre è Malafemmena, composta nel 1951 e dedicata alla moglie Diana Bandini, e poesie (tra cui la famosa 'A Livella, sulla morte che annulla le differenze sociali delle persone).
Dava prova della sua generosità aiutando i più bisognosi, e inoltre curando e assistendo, in un canile fuori Roma fatto costruire da lui stesso, ben 220 cani randagi.
Totò morì nella sua casa dei Parioli alle 3:30 del mattino del 15 aprile 1967 all'età di 69 anni, stroncato da una serie improvvisa di tre infarti. Le sue ultime parole furono, secondo Franca Faldini: "T'aggio voluto bene Franca, proprio assaje", La sua salma fu vegliata per due giorni da tutte le personalità della politica e dello spettacolo giunte a commemorarlo e a rimpiangerlo. Il 17 aprile 1967 il feretro partì tra ali di folla per Napoli, sua città natale, dove si svolsero i funerali solenni di fronte a una folla traboccante, valutata in circa 200.000 persone, che lo accolsero fin dall'arrivo dell'auto al casello autostradale, poi il suono delle campane salutò per l'ultima volta Totò. Fu sepolto a Napoli nella tomba di famiglia del Cimitero di Santa Maria del Pianto accanto ai genitori e all'amata Liliana Castagnola.
Totò, fino alla sua morte fu spesso sottovalutato, ignorato, se non osteggiato dalla critica.
Tuttavia circa cinque anni dopo la sua morte prese il via un imprevisto e fulmineo revival, iniziato nel 1971 con proiezioni in sordina nei cinema di periferia (ma a Roma nel centralissimo Farnese di Campo dei Fiori, che gli dedicò un mese intero di proiezioni e Quirinetta nei pressi di Fontana di Trevi, gremite di giovani, seduti anche in terra fra le file delle poltrone) di film come Totò a colori, Miseria e nobiltà, Guardie e Ladri, Il Comandante, Siamo uomini o caporali, Gli onorevoli, Arrangiatevi, Signori si nasce. Ma è grazie alla televisione privata che Totò ottenne il meritato rilancio. Due registi dell'emittente privata napoletana Canale 21, nel 1976, recuperarono in archivio i film di Totò per mandarli in onda il giovedì sera, fino a passaggi televisivi sempre più massicci.
Totò è stato l'unico attore italiano ad aver conquistato la quinta generazione di pubblico.
“Di notte, quando sono a letto, nel buio della mia camera, sento due occhi che mi fissano, mi scrutano, mi interrogano. Sono gli occhi della mia coscienza.” (Totò)

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