L'Infinito di Giacomo Leopardi
«Sempre caro mi fu quest'ermo colle,
e questa siepe, che da tanta parte
dell'ultimo orizzonte il guardo esclude.
Ma sedendo e mirando, interminati
spazi di là da quella, e sovrumani
silenzi, e profondissima quïete
io nel pensier mi fingo, ove per poco
il cor non si spaura. E come il vento
odo stormir tra queste piante, io quello
infinito silenzio a questa voce
vo comparando: e mi sovvien l'eterno,
e le morte stagioni, e la presente
e viva, e il suon di lei. Così tra questa
immensità s'annega il pensier mio:
e il naufragar m'è dolce in questo mare.»
e questa siepe, che da tanta parte
dell'ultimo orizzonte il guardo esclude.
Ma sedendo e mirando, interminati
spazi di là da quella, e sovrumani
silenzi, e profondissima quïete
io nel pensier mi fingo, ove per poco
il cor non si spaura. E come il vento
odo stormir tra queste piante, io quello
infinito silenzio a questa voce
vo comparando: e mi sovvien l'eterno,
e le morte stagioni, e la presente
e viva, e il suon di lei. Così tra questa
immensità s'annega il pensier mio:
e il naufragar m'è dolce in questo mare.»
e anche questa siepe, che impedisce alla mia vista
una buona parte dell'orizzonte più lontano.
Ma stando seduto e fissando lo sguardo sulla siepe,
io immagino spazi sterminati al di là di quella,
silenzi che vanno al di là della dimensione umana
e profondissima quiete, tanto che per poco
il cuore non si turba e si smarrisce. E non appena odo
le fronde delle piante stormire al vento, così paragono
il silenzio di quegli spazi a quel rumore:
e istintivamente mi viene in mente l'idea dell'eternità,
le ere storiche già trascorse e dimenticate, e quella attuale e
ancor viva, con il suo suono. Così il mio pensiero
sprofonda in quest'immensità:
ed è dolce naufragare in questo mare.»
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