Era una caldissima giornata di agosto, la canicola incombeva
ancora, inclemente come una cappa di piombo. Stavo
in fila con le auto in attesa di imbarcarmi. Ero
stanco ed irritato, mi ero svegliato molto presto, dopo una notte difficile,
agitata. Il viaggio in treno per raggiungere il molo era stato allucinante.
Sembrava non finisse mai. Avevo i nervi a fior di pelle e saettavo per niente.
Come se mi avesse morso una vipera. La nave era ormeggiata: alta, enorme,
mastodontica. Stava scaricando quelli che la vacanza l’avevano finita: facce nere
e abbronzate. Le auto erano piene all’inverosimile di materassini, palloni e
teli da mare stesi sui vetri a riparare dal sole. Le automobili vomitate dal
traghetto non finivano mai.
E se non fosse stato che l’altra apertura della
nave dava in mare aperto, si sarebbe detto che entravano da una parte per
uscire dall’altra, in un girotondo continuo. I viaggiatori, fuori dalle auto,
boccheggiavano madidi di sudore. Le lamiere delle auto stipate in lunghe file
sul molo, riverberavano il sole come padelle. Mi legai i capelli dietro la
nuca: il sudore mi aveva bagnato tutto il collo.
Dopo un tempo interminabile,
le auto cominciarono a muoversi e finalmente salii sul traghetto. Il viaggio fu
lungo e noioso, ma almeno, come avevo sperato, non soffrii il caldo. Verso le diciotto
la nave attraccò nel porto. Il molo era affollatissimo e per sbarcare ci misi
quasi un’ora. Friederich era già lì ad
aspettarmi.
Ci salutammo con una leggera smorfia che
traspariva dai nostri volti e ci avviammo verso un viale di pavè alberato, dove stavano in lunga
fila tanti pullman nel centro storico del borgo
medievale, tutto costruito in pietra. In
piazza tanti tavolini davanti al bar, coperti da ombrelloni colorati. ("Ci sono Storie...")
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