Nessuno più di Coppi ha popolato i sogni della nostra adolescenza.
Sembra uno scheletro di canna, un atleta di vetro. In realtà, è un campione eccezionale, volitivo e crudamente sfortunato. Per tutta la breve vita Fausto Coppi lotta contro la fragile struttura delle sue ossa. Nove cadute, nove fratture, e ogni volta in piedi, più combattivo di prima. Non lo ferma neppure la morte del fratello Serse durante un giro del Piemonte. Atleta leggendario, nel 1978, diciotto anni dopo la morte, un referendum del "Corriere d'informazione" lo vede davanti a Nuvolari, Meazza, Berruti. Al Velodromo di Parigi 19.700 spettatori paganti gridano impazziti "Fostò". L'impresario Mouton gli dice gongolante che De Gaulle, pochi giorni prima, ne ha avuti 25 mila ma non paganti. Su 666 corse, si aggiudica 118 vittorie. Il suo primato dell'ora resiste per 14 anni.
Coppi vede la luce nel 1919 in una modesta famiglia contadina di Castellania, in provincia di Alessandria. Comincia a correre da dilettante nel 1938 e nel 1940 vince il suo primo giro d'italia battendo l'idolo Gino Bartali. Impara la dura disciplina sportiva dall'"orbo di Novi", il massaggiatore cieco Biagio Cavanna, il quale gli insegna anche che il ciclismo è uno sport di poveri per poveri. Coppi ne farà uno sport milionario.
Fausto sembra uno zingaro, scuro, segaligno, capelli tirati, denti cavallini, occhi a palla, viso da eterno ragazzo, taciturno, malinconico, pignolo, modesto, educato, solitario, intelligente, candido. Offre agli amici la mano del cuore; agli altri, la destra. E' alto 1,77, il suo peso forma è 77 chili. Elegantissima la sua pedalata. Amministratore oculato, fa del proprio corpo una macchina formidabile, perfetta. Conosce le diete sportive, energetiche e disintossicanti, e celebri diventano i suoi "panini-bomba": carne cruda, miele, aglio, lievito di birra, germi di grano.
Resta il "campionissimo" anche quando, nel 1953, una tempesta sentimentale si abbatte sulla sua vita. Le vicende della "dama bianca" riempiono le pagine dei giornali, e non solo di quelli sportivi. La tifoseria nazionale prova un acuto gelo per la bella Giulia Occhini, il suo nuovo amore. Per il campione lei abbandona una quieta e benpensante vita borghese, si fa mettere alla gogna peggio della Maddalena, e in galera per adulterio, ma gli dà un figlio, Faustino. Altri tempi, altra moralità coniugale, altra barbarie! Partito nel 1959 con l'amico e collega Raphael Geminiani per il Centro-Africa per una spedizione di caccia e una serie di gare, rientra a Natale, affetto da una malattia "misteriosa" che ha colpito anche il campione francese. I medici dell'Istituto parigino Pasteur, specializzati in malattie infettive e tropicali, gli diagnosticano la malaria. I clinici di Fausto, convocati al suo capezzale, sbagliano grossolanamente la diagnosi: congestione polmonare. La solita iella. Geminiani si salva. Coppi muore.
L'emozione nel mondo sportivo è immensa, il pianto di tanti tifosi, compreso il nostro, accorato e sincero. Scrive di lui Indro Montanelli su Corriere della Sera: "Non correva mai contro gli avversari: non ne aveva... correva contro gli elementi, i malanni, le cadute, che mettevano a repentaglio la sua fralezza, gonfio d'aria come una rondine".
E Orio Vergani, altra insigne firma del quotidiano di via Solferino: "Il grande airone ha chiuso le ali. Quante volte Fausto Coppi evocò in noi l'immagine di un grande airone lanciato in volo con il battere delle lunghe ali, a sfiorare valli, monti, spiagge?". (di Roberto Gervaso - "A tu per tu")
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