Budapest
Venti
giorni dopo una mattina di settembre mi sveglio troppo presto e sbiaditi pensieri affollavano la mia mente.
La notte era stata piena di suoni consueti, tra gli echi della nettezza urbana
e i cani che abbaiavano sotto il mio balcone. Me ne rimango a poltrire sotto la
coperta di lana per osservare il soffitto per un po'. Fuori il silenzio più
assoluto, si sente solo il suono dei versi degli animali, che mi piace
particolarmente. Poi il nuovo giorno mi obbligò a scendere dal letto e decido,
perciò, di uscire di casa che era ancora l’alba. Era una cosa strana per me
annusare il profumo fresco nell’aria prima della pioggia. Proseguii deluso,
senza meta all’ombra dei palazzi e mi sentivo come smarrito. Attraversai le
lunghe vie alberate della città grigia e odorosa di terra umida, tra gli umori
della gente che mi sfiorava indifferente. Mi
piaceva camminare da solo, mi rilassava, mi dava modo di creare un ordine
mentale personale in cui meditare e riordinare le idee. Vivevo nei panni di un
alieno che non vola, vivevo ai margini di un vita vera e non mi riconoscevo. Il
caldo saliva piano dal fondo della strada e tutt'intorno vi era un'afa
insopportabile. Camminavo ormai da un'ora. Mi sentivo molto stanco ed il fisico
non rispondeva più agli impulsi del cervello. La vista si era annebbiata e ogni
cosa mi appariva offuscata dai fumi del caldo che salivano dalla strada a
intervalli regolari. Dopo aver consumato la colazione in un bar colmo di gente,
situato vicino alla biblioteca comunale, rimasi lì un attimo, fermo davanti
alla porta, a pensarci su. Iniziai a muovermi stancamente lungo i portici e
girando l’angolo, vidi sopraggiungere all’improvviso, due occhi seducenti e
ammiccanti che mi scorrevano davanti, fissandomi. Mi ricordavano qualcosa e un
brivido corse lungo la schiena. (tratto dal romanzo "My story")
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